martedì 27 marzo 2018

Rapporto della commissione bicamerale ecomafie (Puntata 351, in radio il 27/3/18)

Una puntata con Massimiliano Iervolino, membro della direzione di Radicali Italiani e consulente della commissione bicamerale ecomafie nella XVII legislatura, in cui Iervolino ci racconta perché l'appena uscita relazione della commissione è importante e quali informazioni contiene in particolare rispetto alle "ecoballe" campane e allo stato della raccolta differenziata in Italia.

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domenica 18 marzo 2018

Trend recenti dell'energia (Puntate 344 e 350 in onda il 30/1 e 20/3/2018)

Un recente articolo sul Sole 24 Ore di Cristina Da Rold (link sotto) ci è utile per fare il punto su alcuni numeri mondiali di penetrazione delle fonti rinnovabili nei vasi usi energetici, cosa che a Derrick avviene periodicamente. L’ultima volta che ne abbiamo parlato (testo sotto) s’è visto che da un lato la nuova capacità di generazione di elettricità “verde” è tanta e più di quella fossile (tra il 2016 e il 2022 la nuova capacità rinnovabile prevista è più del doppio di quella a carbone), ma anche che in un contesto di aumento dei consumi energetici mondiali la quota di quelli rinnovabili ha avuto il suo record non in questi anni, bensì dopo uno degli shock petroliferi dello scorso secolo. Il che equivale a dire che la migliore amica dell’ambiente, in campo energetico, è stata per ora l’efficienza nei consumi.

Un grattacielo immerso nella foschia
in un quartiere direzionale di Madrid
(Foto Derrick, feb 2018)
Tra i numeri tratti dalle serie della International Energy Agency citati da Da Rold c’è un interessante confronto tra le penetrazioni nei vari Paesi delle sole fonti elettriche solare e eolica. Che sono perlopiù esito di investimenti recenti, se è vero che la fonte idroelettrica si era già diffusa, dove il territorio lo permette, ben prima che le istanze ambientali venissero prese estensivamente in considerazione. Particolarmente vero in Italia: se guardiamo alla quota di eolico e solare, l’Italia, che complessivamente già oggi produce oltre un terzo dell’elettricità da rinnovabili, è – nelle previsioni IEA al 2022 - con il suo 15% circa di gran lunga dietro a Danimarca, Spagna, Germania, Regno Unito che sono i migliori performer al mondo, ma prima del primo paese extraeuropeo: l’Australia.

Interessante, e sensato sulla base del principio economico dei rendimenti decrescenti, che i grandi Paesi oggi molto indietro in termini di share delle rinnovabili – tra cui Cina, USA e India - siano anche quelli previsti crescere di più.

Come sappiamo, gli usi oggi non elettrici sono quelli, tra i consumi energetici, in cui la transizione green è più indietro, in particolare trasporti e riscaldamento. Nel primo settore la “killing application” attesa da tutti sono i veicoli elettrici, su cui Derrick si aspetta un passaggio repentino da parte dei produttori di veicoli ma che ciononostante vedranno una certa inerzia di penetrazione legata alla necessità di sostituire un immenso parco circolante.
Anche nel riscaldamento urbano è difficile vedere una soluzione diversa dalla sua elettrificazione, visto che il problema degli inquinanti locali rende a mio parere inapplicabile una transizione all’uso di biomasse per combustione al posto dei bruciatori per caldaie tradizionali. Se questo è lo scenario, sarà l’elettricità il veicolo della transizione green dell’energia mondiale. Quindi, per chiudere con una battuta, se ci teniamo all’ambiente meglio progettare stabili con meno canne fumarie, impianti elettrici più solidi e colonnine di ricarica in cortili e garage.




Archivio: puntata 344

Oggi facciamo una piccola carrellata di dati recenti sull’energia soprattutto italiana. A partire da un interessante articolo di Alessandro Lanza su lavoce.info (link sotto) che osserva l’andamento della quota di energia mondiale da fonti fossili, che malgrado i grandi investimenti di molti paesi in fonti rinnovabili resta attorno all’80%, addirittura in aumento negli ultimi anni.

La quota di fossili più bassa è stata negli anni successivi alla seconda crisi petrolifera del 1979. Il che mostra come l’ammontare complessivo dei consumi, che a differenza della struttura della produzione può cambiare anche repentinamente da un anno all’altro, è determinante nell’influenzare la penetrazione delle fonti rinnovabili, che tipicamente vengono usate in tutta la loro capacità e lasciano alle fossili la copertura di tutto il resto del fabbisogno.

Dunque per ridurre in fretta il consumo di fossili bisogna innanzitutto consumare meno.
Ma se consumare meno energia è auspicabile in un paese ricco e sviluppato, occorre anche fare i conti con le grandi fasce di mondo che ancora non hanno un accesso all’energia sufficiente a uno sviluppo moderno e che quindi auspicabilmente consumeranno di più. E a fronte di consumi mondiali in crescita il fatto che le rinnovabili tengano il passo della nuova domanda non è di poco conto. Ma non basta a invertire il trend delle emissioni dannose per il clima, che negli ultimi anni hanno solo smesso di crescere, il che non è comunque poco visto che coincide con una ripartenza generale delle economie mondiali. Merito delle rinnovabili, appunto, e della riduzione del rapporto energia/PIL nei paesi più avanzati.

E in Italia? Da noi negli ultimissimi anni la quota di fonti rinnovabili rispetto alla domanda elettrica è scesa malgrado la capacità rinnovabile installata sia sempre aumentata. Come mai questo ripiegamento? Anche qui a causa dell’aumento dei consumi dal 2014 e soprattutto, nell’ultimo anno, della crisi idrica che ha limitato moltissimo l’idroelettrico. Fonte storica tra le rinnovabili italiane, che già forniva circa il 15% della domanda ben prima che le politiche di decarbonizzazione fossero concepite, l’idroelettrico è passato dall’oltre 19% della domanda nazionale nel 2014 a poco più del 14% nel 2017.
Gli effetti della crisi idrica sul mix energetico sono impressionanti, e sono un caso molto allarmante di retroazione viziosa dei cambiamenti climatici, che più avvengono, più, in questo caso, rendono difficile contrastarli.


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domenica 11 marzo 2018

La guerra commerciale di Trump (Puntata 349 in radio il 13/3/18)


Inizio questa puntata di Derrick con una nota autoapologetica: questa rubrica di Radio Radicale riceverà il 22 marzo 2018 a Roma il premio giornalistico Energia del vento per la sezione radio da parte dell’Anev, associazione di produttori eolici, insieme per le altre sezioni ad Antonio Cianciullo di La Repubblica, Romina Maurizi di Quotidianoenergia, Tiziana Petrini e Simone Socionovo di greentg.it, Luca Aterini di greenreport.it.
Grazie all’Anev per questo graditissimo riconoscimento.

Oggi parliamo, sulla base di una mia piccola rassegna stampa nazionale e internazionale, della decisione di Trump di introdurre un dazio del 25% sulle importazioni di acciaio negli USA e del 10% su quelle d’alluminio. Decisione motivata – com’è d’uso in questi casi – dalla necessità di proteggere la sicurezza nazionale e l’economia interna da concorrenza sleale (entrambe definizioni abbastanza generiche da poter essere sempre invocate).
All’annuncio sono seguite le dimissioni di Gary Cohn, direttore del consiglio nazionale per l’economia e importante componente dello staff della Casa Bianca, ex banchiere di Goldman Sachs.

Gli interessi di chi fa questa decisione? Di sicuro, almeno nel breve periodo, quelli dei produttori locali di acciaio e alluminio tra cui US Steel, che si prepara a riaprire un altoforno a Granite City, un sobborgo di St.Louis ma nel territorio dell’Illinois, altoforno chiuso nel 2015 con conseguente dimezzamento dell’organico che a regime contava nell’area circa 1500 addetti.
Ma se si escludono i produttori americani di acciaio e alluminio, le reazioni anche statunitensi alla decisione sembrano perlopiù negative. Una delle principali associazioni industriali locali, l’US chamber of commerce, ha dichiarato preoccupazione per l’inizio di una guerra commerciale. Secondo Trade Partnership Worldwide (uno studio di analisi economica americano), a fronte di meno di 34mila posti di lavoro potenzialmente creati negli US, se ne perderanno quasi 180mila nello stesso paese a causa della minore competitività delle aziende che usano acciaio e alluminio come prodotti intermedi. Altra conseguenza è che i consumatori finali dei beni più diversi prodotti negli USA dovranno pagare una tassa in maggiori prezzi dei prodotti. In effetti perfino tra i cittadini ci sarebbe una maggioranza di oppositori alla misura secondo un sondaggio della Quinnipiac University, un ateneo del New England.
Si vede poi un approccio piuttosto dirigistico e potenzialmente arbitrario nel modo in cui l’amministrazione gestirà le esenzioni ai dazi, per le quali è possibile presentare richieste alla casa bianca.
Un'immagine del sito di Portovesme da sardiniapost.it
Il direttore del WTO (organizzazione mondiale per il libero commercio) ha ricordato che con “occhio per occhio” si diventa tutti ciechi, e che una guerra commerciale globale avrebbe complessivamente un effetto recessivo. Ma è proprio il WTO a essere indebolito dal rifiuto degli USA di votare nuovi membri della sua commissione di soluzione delle controversie, senza il funzionamento della quale l’organismo è scarsamente efficace.
Infine una curiosità. Proprio l’americana Alcoa, in Sardegna, ha prodotto alluminio a fronte di aiuti pubblici nelle bollette elettriche per circa 2 miliardi complessivi, alla fine dei quali ha abbandonato il sito. L’accertamento di parte dei sussidi è costato all’Italia una procedura d’infrazione europea (informazioni dettagliate da vecchie puntate di Derrick al link sotto).


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