domenica 21 gennaio 2018

Il mercato ha alzato o abbassato le bollette? (Puntata 343, in onda il 23/1/18)

Un quesito comune che arriva spesso a Derrick è: la liberalizzazione nell’energia ha fatto bene o male?
Se guardiamo al prezzo e ci focalizziamo sulla bolletta elettrica tipo di una fornitura domestica in Italia, da metà 2007 alla fine del 2017 il costo di un kWh è aumentato in termini nominali di circa il 25%, meno della metà in termini deflazionati. Ma il costo della materia prima - che oggi forma un po’ meno della metà di una bolletta - è rimasto fermo, e quindi sceso di circa il 13% in termini reali, mentre tutte le altre componenti sono salite, soprattutto la parafiscalità (circa raddoppiata in termini nominali) e il costo delle reti elettriche (+50%) e un po’, ma non molto, le imposte vere e proprie.

Sotto, il link all'intera serie storica dal sito dell'Autorità per l'energia
Dunque, proviamo a trarre conclusioni. L’elettricità per un cliente domestico tipo italiano costa leggermente di più oggi che dieci anni fa. Ma la bolletta oggi attraverso la sua parte parafiscale finanzia cose che in passato non finanziava. Si tratta soprattutto dei sussidi alle fonti rinnovabili e in minor parte degli investimenti in efficienza coperti dal sistema dei “certificati bianchi”, e di ciò che menzionerò più sotto.

Inoltre, la bolletta oggi paga le reti molto più di quanto lo facesse in passato, il che si può ricondurre a mio avviso a tre ragioni principali:
  1. In un sistema elettrico con molte fonti rinnovabili non programmabili servono capacità e ridondanza della rete molto maggiori
  2. La rete ad alta tensione oggi è più interconnessa di quella di dieci anni fa, cosa che ha richiesto investimenti e che contribuisce all’efficienza della concorrenza tra le centrali elettriche nazionali e dei paesi confinanti
  3. Gli investimenti nelle reti – e questo non vale solo nell’energia e non vale solo in Italia – hanno ottenuto generalmente una remunerazione elevata se paragonata al basso rischio imprenditoriale dell’attività, che è svolta in monopolio regolato.

Tornando alla parafiscalità, essa copre in modo crescente anche meccanismi di sconto ai clienti energivori, soprattutto quelli grandi e del settore manifatturiero. Lo fa (da noi come nel paese di riferimento per il nostro sistema industriale manifatturiero: la Germania) in linea con la disciplina UE degli aiuti di stato in materia energetica.
Ma per quanto legittimi questi aiuti rendono artificiosamente cara la bolletta soprattutto per le piccole aziende non energivore, e, pur essendo parte integrante della cosiddetta politica industriale, sfuggono almeno parzialmente al controllo politico che caratterizza il sistema fiscale, visto che formalmente non ne fanno parte, così come non fanno parte dell’alveo della legge di bilancio e degli indicatori di pressione fiscale.

E allora, per concludere rispetto al nostro quesito: il mercato ha alzato o abbassato le bollette? Ne ha di molto abbassato la parte soggetta alla concorrenza. Ma complessivamente le bollette sono leggermente salite perché si sono gonfiate di cose che prima non includevano e che in parte non c’entrano nulla coi costi diretti o indiretti dell’energia.


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domenica 14 gennaio 2018

La nuova Strategia Energetica Nazionale (Puntate 309 e 342)

È stata adottata a novembre 2017 con decreti del ministero dello sviluppo economico e dell’ambiente la seconda Strategia Energetica Nazionale (SEN) nell’era dell’energia liberalizzata, con obiettivi al 2030. Ne avevamo dato anticipazioni nella puntata 309, il cui testo è più in basso in questo post.

Un documento che come nella sua prima edizione è arrivato a fine legislatura e comunque non era necessariamente destinato a un passaggio parlamentare. Ma per quanto non vincolante ha un notevole valore programmatico e di orientamento degli investimenti.
I suoi obiettivi cardine sono competitività, sicurezza e sostenibilità del sistema energetico. Vediamo declinati come:

Competitività:
  • Introduzione di un “corridoio della liquidità” del gas per avvicinare il prezzo italiano all’ingrosso a quello dell’hub fiammingo
  • Completamento della liberalizzazione della vendita di elettricità
  • Sviluppo del mercato all’ingrosso dell’elettricità con introduzione di domanda attiva (cioè clienti che forniscono essi stessi flessibilità al sistema), generazione distribuita e maggior autoconsumo (cioè produzione in sito) 

Sicurezza:
  • Nuovi gasdotti di importazione, potenziamento della rete interna e maggiore apertura al mercato del gas naturale liquefatto trasportato via nave (migliorando l’uso dei terminali esistenti)
  • Migliore integrazione delle fonti rinnovabili elettriche con strumenti come un mercato della capacità di generazione, nuove interconnessioni, accumuli elettrici e mercato dei servizi di flessibilità. 

Sostenibilità:
  • Maggior penetrazione delle fonti rinnovabili con obiettivo del 35% al 2030, di cui 55% nel settore elettrico e il 21% nei trasporti
  • Sviluppo dell’efficienza energetica
  • Eliminazione del carbone dal mix di generazione elettrica entro il 2025, con la chiusura di 8 GW di centrali oggi in attività.

Un piano in generale continuità con il passato e su cui i primi commenti di Derrick sono i seguenti:
  • Il cosiddetto “corridoio liquidità” immaginato dal Governo non ha nulla di fisico e ha forti effetti distributivi tra aziende. Farebbe pagare ai clienti finali il costo di uno sconto all’ingrosso sull’accesso al canale d’importazione dall’Olanda. Un sistema cui l’antitrust ha dato parere negativo e le cui prospettive di applicazione quindi si riducono.
  • Il completamento del mercato della vendita di elettricità è certamente fondamentale, alla luce della legge concorrenza che prevede la fine delle tariffe regolate a metà 2019. Ora è urgente una campagna istituzionale per informare i clienti ed evitare che i fornitori monopolisti della tariffa di tutela siano illegittimamente avvantaggiati nella transizione.
  • L’uscita al 2025 dalla generazione elettrica a carbone è una buona notizia per l'ambiente e per la salute di chi vive vicino a queste centrali. Sempreché, sul piano economico, non corrisponderà a compensazioni all’Enel, unico operatore ad avere recentemente investito in questa fonte con la grande centrale di Civitavecchia (e la cui principale fonte elettrica è proprio il carbone) e ai pochissimi altri produttori con impianti a carbone ancora operativi. 

Ringrazio per questa puntata Laura Zigiotti.

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Archivio: puntata 309 sulla bozza di SEN 2017

Nel 2013 il Governo elaborò la prima Strategia Energetica Nazionale dai tempi della liberalizzazione dell’energia. Il ministro di riferimento era Passera, il sottosegretario delegato Claudio De Vincenti. La strategia fu emanata con un decreto interministeriale che, a fine legislatura, non ottenne mai sanzione in Parlamento e difficilmente si può dire che essa sia considerabile vincolante per i Governi a seguire. Tuttavia, fu un lavoro importante, perché costringeva a vedere in modo unitario molte politiche dell’energia e a trovarne la coerenza tra loro e rispetto agli scenari attesi. Tra gli obiettivi principali che la strategia del 2013 prevedeva, c’erano lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle infrastrutture utili a fare dell’Italia un cosiddetto “hub del gas” per l’Europa, cioè Paese di passaggio del gas nordafricano e azero (grazie al futuro TAP, quello le cui ultime miglia del tracciato sono in questi giorni bloccate dalle proteste di salentini che apparentemente temono un tubo sotto terra più di due centrali a carbone sicuramente dannose per la salute a Brindisi).

Bene, ora, in preparazione del G7 energia appena terminato a Roma, e di quello generale a Taormina a fine maggio 2017, il Governo ha annunciato una versione aggiornata del documento programmatico sull’energia e ne ha descritto gli obiettivi e gli aspetti principali dello scenario in una presentazione al Parlamento di inizio marzo 2017.

Il primo obiettivo del piano, l’unico su cui mi focalizzo in questa puntata, è la competitività del prezzo dell’energia.
Essa prevederà, secondo le slide del Governo, politiche per avvicinare il prezzo all’ingrosso del gas in Italia a quello del Nord Europa, prezzi che differivano nel 2016 in media del 13%.
Il punto di riferimento è l’hub fiammingo chiamato TTF, rispetto al quale è normale che resti un piccolo differenziale dato dai costi di trasporto.
È anche vero che se noi diventeremo un corridoio del gas, si presume che avremo rispetto al centro Europa vantaggi strutturali sul gas algerino, libico e, una volta che il TAP sarà attivo, azero.
Peccato che dall’Algeria le quantità di gas diminuiscano a causa dei consumi interni e degli scarsi investimenti, e che la Libia non sia certo una fonte sicura.

Traliccio di teleferica presso il passo Duron,
nelle Dolomiti trentine
Il corridoio che cita Calenda nella presentazione in ogni caso è un’altra cosa: il cosiddetto “corridoio della liquidità” che è in realtà un meccanismo (economico, non fisico) per mettere a disposizione del sistema capacità di importazione a prezzi vantaggiosi, finanziando la differenza rispetto al costo di mercato della capacità con un sistema a carico della generalità dei clienti.

E anche per l’elettricità appunto l’obiettivo è ridurre il differenziale nel prezzo finale, che pur abbassatosi molto è ancora in media positivo in Italia per alcune categorie di consumatori rispetto a molti Paesi d’Europa. Ma attenzione, se Calenda spesso richiama l’importanza di un accesso competitivo del manifatturiero all’energia, stando ai dati che lui stesso ha presentato, in confronto alla Germania il risultato di un prezzo più basso da noi già è raggiunto per tutte le imprese tranne quelle a consumi molto bassi, che da noi, come tante volte abbiamo detto qui, pagano l’energia carissima anche per finanziare le agevolazioni ad altre categorie.

Non parlano le slide, ma speriamo ne parlerà la strategia, di come rendere competitiva quella parte sempre più grossa della bolletta (circa i 2/3 per un’utenza domestica o di microimpresa) che non dipende dal prezzo dell’energia sul mercato, ma da come sulla base di norme vengono remunerate le infrastrutture di rete gestite in regimi di monopolio nazionali e locali, sempre più costose, e da come viene stabilita la parafiscalità, la cui voce principale (questa però in calo) sono gli incentivi alle fonti rinnovabili.

Ringrazio Fabio Pedone e Antonio Sileo, il quale con Antonio di Martino ha scritto della valenza giuridica della vecchia SEN 2013 qui.

domenica 7 gennaio 2018

La sostenibilità ambientale ed economica di LeU (Puntata 341, in onda il 9/1/18)

Buon 2018 anche da Derrick. Scrivo questa puntata dopo aver ascoltato grazie a Radio Radicale la conferenza programmatica di Liberi e Uguali del 7 gennaio a Roma.
Purtroppo mentre scrivo non è ancora online un programma, e mi baserò su quanto espresso negli interventi dai relatori dell’assemblea, tra cui Rossella Muroni (ex presidente di Legambiente), Pietro Grasso, Laura Boldrini, Pippo Civati e Annalisa Corrado.


Sostenibilità ambientale

L’impostazione di LeU sembra mettere tra i punti più importanti l’ambiente. Muroni ha parlato di introduzione di una carbon tax, di uscita dall’uso dei combustibili fossili, e Grasso di fine dei sussidi alle fonti fossili d’energia.
Del resto è proprio uno studio recente fatto proprio dall'Ufficio Valutazione del Senato, intitolato “Chi inquina paga?” e curato da Andrea Molocchi del ministero dell’Ambiente - già contributore di Derrick sul tema - ad aver nuovamente messo l’accento sulla sostanziale incoerenza tra il sistema degli incentivi economici (soprattutto fiscali) e la salvaguardia dell’ambiente.

Considerare l’importanza degli incentivi economici per ridurre impatti socialmente indesiderabili fa parte di quell’approccio all’ambientalismo che io definisco “liberale”, perché mira non a imporre tout court comportamenti, ma a rendere più corretto e completo il set di incentivi e disincentivi sulla base dei quali i soggetti decidono, anche attraverso l’introduzione di correttivi virtuosi in termini di imposte ambientali e, ancor prima, eliminando vantaggi perversi come gl’ingentissimi sconti fiscali al consumo di combustibili fossili.
Un approccio dicevo cui do il benvenuto, come fui felice quando Pippo Civati appoggiò la campagna #menoinquinomenopago di Radicali Italiani e Legambiente.


Sostenibilità economica?

Quel che mi chiedo è come ciò si concili con l’econofobia generale che emerge dagli interventi di alcuni degli esponenti di LeU. I quali, oltre a scagliarsi contro l’ormai mitico “neoliberismo” e contro la ricerca del profitto, preconizzano la fine delle politiche di sostenibilità dei bilanci pubblici e auspicano perfino la soppressione dell’obbligo di pareggio di bilancio in costituzione (obbligo peraltro già oggi costantemente eluso).

Perché vedo questa incompatibilità? Perché il senso, per esempio, di una carbon tax è proprio quello di obbligare chi usa una risorsa a contribuire all’intero costo di quella risorsa (inducendolo a consumarne meno e in secondo luogo ottenendo un gettito utilizzabile per mitigare gli effetti di quel consumo).
E se una carbon tax funziona è proprio perché gli agenti economici cercano il profitto.

Un approccio economico all’ambiente parte proprio dal presupposto che le risorse non sono infinite, e che occorre tener conto di quante se ne sottraggono agli altri e alle future generazioni. Fregarsene del pareggio di bilancio, soprattutto quando lo si fa per finanziare la spesa corrente, è invece l’esatto opposto: significa fregarsene dei più giovani e dei posteri, vivendo sistematicamente alle spalle proprio di coloro che LeU dice di voler difendere.
Se è vero che il suolo perso, per esempio, è poi pressoché irrecuperabile, è anche vero che chi si trova un debito sulle spalle causato da spesa corrente di generazioni precedenti non può rivalersi.


La falsa soluzione di inflazione o default

Si potrebbe contrapporre che ignorare il debito significa semplicemente ignorare i diritti dei creditori, e che un’iperinflazione o addirittura un default permetteranno di ridurre o azzerare il problema. Come dire che il debito non è un problema, a patto di fregare la classe media di italiani che perlopiù l’hanno finanziato. Si tratta, di nuovo, di un approccio endemicamente iniquo (su questo, un utilissimo testo divulgativo è “Il macigno” di Carlo Cottarelli - Feltrinelli, 2016).

Insomma: benvenuto ambientalismo moderno di LeU. Spero il dibattito interno a questo movimento porti anche ad acquisire la stessa attenzione alla sostenibilità dell’economia in generale, occupandosi di distribuzione equa di tutte le risorse, superando la fandonia – nel migliore dei casi ingenua – che basti non guardare i conti per moltiplicare le risorse.


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